Il «popolo della terra» scopre il nuovo bracciante

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Il Comitato Agricoltori Pontino si riunisce stasera a Sermoneta

La rivolta degli imprenditori agricoli è cominciata la scorsa primavera quando il nuovo ministro del lavoro ha detto: «Da oggi niente sconti sul lavoro nero». E che gli irregolari si annidassero nell'agricoltura si sapeva già. Quando però sono arrivati i controlli veri di polizia, carabinieri, guardia di finanza e quando si è scoperto che quasi il 100% dei braccianti che stavano sui campi (che mantenevano in piedi l'agricoltura locale) erano immigrati senza contratto, in quel preciso momento è esploso il caso-Latina. Le imprese hanno cominciato a chiedere (seriamente) quote maggiori e modulate sulla base della provenienza da Paesi che offrono manodopera per le colture tipiche pontine.

SEMBRANO appena usciti da uno dei libri di Erskine Caldwell, «Il piccolo campo» o «La via del tabacco», quando a fare la storia degli Stati Uniti, in piena depressione, non erano più gli indiani d'America ma i coloni con la salopette di tela jeans. Si definiscono il popolo della terra e vogliono organizzarsi, anzi riorganizzarsi, per combattere lo spettro che li tiene svegli di notte: la crisi del mondo agricolo.
«Oggi l'agricoltura è paragonabile a un malato terminale che nel giro di qualche decennio è venuto a scontrarsi con le peggiori malattie, trascinando anche noi al capolinea – scrivono i coloni organizzati nel Comitato Agricoltori Pontino – Se non tentiamo di ripristinare al più presto la sua salute, molti di noi finiranno entro breve privati dei loro beni».
Cosa vogliono lo si capisce già da queste poche ma efficaci battute: un'idea nuova per un nuovo modo di affrontare la crisi del settore, una risposta a una situazione finanziaria complessiva delle aziende agricole pressoché disastrosa.
Chi sono? Imprenditori agricoli che operano in ogni angolo della provincia pontina, da Fondi ad Aprilia, il popolo della terra che costituisce l'ossatura della Camera di Commercio pontina, dove circa il 50 per cento degli iscritti è rappresentato da agricoltori.
Oggi vogliono parlare, far sentire la loro voce, spezzare il muro di silenzio dietro il quale la categoria è rimasta nascosta per decenni: «Hanno chiuso lo zuccherificio e siamo stati zitti. Hanno chiuso la Cirio e siamo stati zitti. Ci hanno fatto chiudere le stalle e restiamo zitti a guardare. Ci faranno chiudere anche la Desco, l'unica fabbrica che ci è rimasta per la trasformazione del pomodoro, e resteremo zitti ancora una volta, mentre i prodotti stranieri ci avveleneranno». Un quadretto niente male, condito con un paio di accuse forti nei confronti della Comunità europea che sparge contributi e incentivi a chi non coltiva il terreno e a chi non produce.
Si incontrano stasera, per la prima volta, in un ristorante di Sermoneta dove contano di segnare il momento della nascita del «contadino nuovo». Sanno già cosa si diranno: parleranno soprattutto della manodopera straniera. Proprio così. Senza stare a girarci intorno, adesso che l'Ispettorato del Lavoro si è messo di punta coi controlli sulla manodopera arruolata al nero e le multe fioccano, loro vedono nel costo del lavoro uno dei motivi più grossi della crisi del settore. Che fare? Hanno un programma preciso, in quattro punti. Primo, costruire nuovi alloggi popolari per i lavoratori stranieri delle campagne. Secondo, gli alloggi attireranno da noi anche le famiglie dei lavoratori, dunque il denaro guadagnato non sarà «esportato» ma reinvestito sul territorio, con beneficio di tutti. Terzo, La costruzione degli edifici popolari ridarà impulso anche all'edilizia, che sarà così coinvolta nella catena produttiva dell'agricoltura. Quarto, I rapporti tra gli italiani e i lavoratori stranieri cambieranno decisamente in meglio. Un programma elementare quanto ambizioso. Sarà il manifesto di Sermoneta. Mancano soltanto un paio di leggi ad hoc. Ma quelli sono dettagli.

Fonte: Latina Oggi