Cgil, Cisl e Uil annunciano: Verso lo sciopero generale

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LATINA — E' la svolta che non ti aspetti dopo la con­ferenza stampa di un mese fa tutta incentrata sulla li­nea del dialogo, della me­diazione, del confronto. Cgil, Cisl e Uil provinciali annunciano ora la mobili­tazione, anticipando con un comunicato stampa le conclusioni dell'attivo unitario che questa mattina, presso l'aula magna del li­ceo scientifico Grassi, ve­drà riuniti i quadri, i diri­genti, i delegati sindacali, le associazioni del commercio e degli industriali. Una grande «chiamata alle armi», che si concluderà con l'annuncio di un'altrettanto imponente manife­stazione di piazza dei lavo­ratori dell'industria, alla quale «in mancanza di ri­sposte concrete da parte degli interlocutori istituzio­nali seguirà – annunciano D'Incertopadre, Verrengia e Garullo – una mobilitazio­ne ancora più forte, allarga­ta a tutti i settori economici». E' l'annuncio dello sciopero generale. Lo «stru­mento estremo», quale risposta obbligata ed ultima rispetto ad una situazione che davvero è ai limiti del collasso. E non solo nei comparto dell'industria. Politicamente, è il fallimen­to della tanto agognata concertazione. Fatto è- rilevano i segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil, che continua a mancare un'idea di sviluppo e che la carenza storica di una programma­zione economica locale, rende drammatica la pro­spettiva, a fronte di una situazione già di per se stessa fortemente critica. Il monito è diretto in partico­lare alla Regione Lazio, mai particolarmente atten­ta alle esigenze pontine ed oggi ancor più distante se si guarda alle scelte in te­ma di infrastrutture e di scelte strategiche. Ma la critica del sindacato è a 360 gradi e coinvolte tutte le istituzioni, anche quelle ­locali, accusate di «rallenta­re ed in qualche caso addi­rittura impedire lo svilup­po delle attività industria­li». Esempio tipico, dico­no, gli strumenti urbanisti­ci, con i riferimenti alle aziende che trovano diffi­coltà ad ampliare i propri impianti (con tutta l'occu­pazione aggiuntiva che questo avrebbe potuto pro­durre) a causa della burocrazia spinta all'estremo e dunque della difficoltà ad ottenere autorizzazioni, modifiche di destinazioni d'uso, licenze che altrove – qualche volta a pochi chilo­metri di distanza, nei terri­tori provinciali limitrofi, vengono invece rilasciate in un batter d'occhio, pro­prio allo scopo di non pro­vocare fughe aziendali e/o possibili nuovi problemi occupazionali. Atti d'accu­sa pesanti, dunque, in un contesto dove comunque i numeri lasciano davvero pochi spazi a qualsiasi cat­tiva interpretazione: quat­tromila posti di lavoro già persi in soli tre anni, deci­ne di piccole/medie azien­de chiuse; tante realtà im­portanti in crisi (Selex, Meccano, Marconi, Tacco­ni, ecc) e persino in settori storicamente forti per l'economia pontino (Bri­stol, Wyeth, tanto per fer­marci al polo chimico-far­maceutico). Un quadro d'insieme tale da non con­sentire più indugi. E da non ammettere più pro­messe elettoralistiche che restano tali: come quella del tavolo territoriale con­cordato con la Regione La­zio nel maggio scorso ma mai riunito. Di qui lo scat­to d'orgoglio del mondo del lavoro: l'input viene dalla base industriale, dai lavoratori e dai sindacalisti del manifatturiero, ma ri­guarda tutti. Perchè dal tes­sile all'agro-alimentare, dal farmaceutico all'aero­nautico, la crisi è a 360 gradi come del resto è na­turale che sia in un territo­rio che continua a trascura­re – non per sua scelta nè per sua colpa – le proprie vocazioni (si pensi al turi­smo, all'agricoltura e alla mancanza di livelli formati­vi specifici) e che qualcu­no ha condannato a vivere confinato al centro di un impercorribile imbuto mentre le infrastrutture viarie si fanno altrove.

Fonte: Il Tempo [Rita Calicchia]